Qualcosa in più da valutare nella scuola: le competenze

Giancarlo Tanucci, docente di psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso l’Università Europea di Roma, introduce nel dibattito sulla valutazione a scuola il tema delle competenze e del rilievo che assume lo sviluppo di un sistema di valutazione delle competenze per l’educazione alla cittadinanza e come spazio di comunicazione tra scuola e genitori.

Impazza nel dibattito pubblico e nel confronto/scontro politico il tema della scuola, tutto ancorato alle questioni del banchi monoposto con o senza rotelle, delle mascherine full-time, della densità di accesso ai bus di trasposto ed una innumerevole serie di “distrattori” della pubblica opinione e sensibilità insieme a qualche “grido di dolore” che si leva per ricordare lo stato di degrado ed abbandono complessivo della scuola, sia per la configurazione del lay-out strutturale ed organizzativo che per l’inadeguatezza ed insufficienza metodologico-didattica rispetto all’attuale situazione che per la carenza del personale docente e l’assenza nel contesto scolastico di professionalità dedicate per l’innovazione tecnologica.

In questo scenario, la deliberazione sul ripristino per la scuola primaria dei giudizi descrittivi di valutazione in sostituzione dei voti numerici è da considerare una novità apprezzabile che, tuttavia, può avere il senso e la funzione di un “distrattore” rispetto alla complessità della problematica della valutazione in ambito scolastico.

Certamente, affrontare il tema della valutazione può rappresentare una buona strategia per risalire poi, come sistematicamente/diffusamente rilevato, alle problematiche più generali delle metodologie e pratiche didattiche, dei valori e delle finalità dell’educazione, del ruolo della scuola pubblica, ecc. ma certamente presenta il rischio di centrarsi troppo su un momento specifico del processo educativo perdendo di vista, da un lato, la complessità e l’articolazione del processo stesso e, dall’altro, le finalità strategiche dell’azione educativa.

Per non cadere nella classica strategia auto-assolutoria del “benaltrismo” è certamente utile ed opportuno rispondere alla stimolazione proposta e sviluppare una riflessione sul ruolo della valutazione nella scuola declinata in un contesto covid19.

Obiettivi ed indicatori

Per arrivare ad affrontare la questione di come valutare, di quale modalità adottare per rappresentare l’esito di una valutazione sarebbe opportuno porsi il tema dell’oggetto della valutazione; in altri termini, è fondamentale definire cosa è oggetto della valutazione e, quindi, declinare gli indicatori rilevabili per fondare la valutazione stessa.

Può apparire abbastanza scontato ragionare sull’oggetto della valutazione ma, in effetti, nella realtà non è del tutto semplice ed immediato. Nel linguaggio corrente, anche tra gli esperti, quando si pone la questione dell’oggetto della valutazione i riferimenti vanno vuoi agli esiti nozionistici dell’apprendimento per salire via via, al comportamento in genere, alla maturità, alla personalità dell’alunno e via a seguire. Definire l’ambito/oggetto della valutazione è essenziale non solo per fondare le ragioni della medesima ma anche per:

a) incardinare, appunto, la valutazione rispetto agli obiettivi dell’intervento educativo,

b) evitare la “deriva”, consapevole o inconsapevole, verso la valutazione comparativa,

c) stabilire uno spazio consensuale tra gli attori e stakeholder del processo valutativo, ecc.

L’altro aspetto, che evidenzia la complessità del processo valutativo e che interessa una componente di natura metodologico/operativa, riguarda l’individuazione e la definizione degli indicatori su cui fondare ed articolare la rilevazione delle informazioni che concorrono alla costruzione del giudizio valutativo, indifferentemente quantitativo o qualitativo. L’individuazione e la definizione degli indicatori rappresenta la prima fase fondamentale del processo di valutazione e precede quello della misurazione intesa come “assegnare un simbolo o un numero a una categoria o attributo dell’oggetto/fenomeno osservato” secondo modalità di tipo qualitativo o quantitativo, a seconda delle convenienze e necessità. Si tratta, a mio avviso, di un aspetto sostanzialmente negletto nelle riflessioni e nei dibattiti su questo tema.

È un dato della comune esperienza – insegnanti, genitori, ed altri attori della formazione – rilevare il disaccordo tra questi attori quando si deve condividere una valutazione di un alunno/studente. Origliando un colloquio genitori-insegnanti è facile constatare come ad una “Valutazione” da parte dell’insegnante del tipo “suo figlio è insufficiente (4) in matematica, non si applica, non studia”, segue una risposta da parte del genitore del tipo; “Ma come! Trascorre tutto il pomeriggio in stanza sopra i libri”. Ad una valutazione basata su indicatori di prestazione, non esplicitati, si contrappone una valutazione costruita su indicatori “di presenza” certificati da una constatazione di tipo spazio-temporale. Sembra di essere ad un confronto tra un approccio ermetico e un approccio aziendalistico-tayloristico.

Forse un primo passo verso un patto di corresponsabilità tra genitori e insegnanti dovrebbe riguardare la costruzione di indicatori esplicitati, ratificati e condivisi tra le parti che consentano di validare le reciproche valutazioni e fondare strategie di intervento coerenti e congruenti. Si apre qui uno spazio di sperimentazione e di ricerca che considera la valutazione come fase di un processo non concluso e risolto modificando solo la modalità di presentazione degli esiti della valutazione.

Valutare le competenze

Uno spazio sempre più rilevante nelle riflessioni sulla mission della scuola riguarda la promozione, lo sviluppo ed il consolidamento delle competenze. Si tratta di un tema che emerge a fronte di una radicale trasformazione sia dello status di cittadinanza dell’individuo che del suo profilo professionale. La domanda sociale e le aspettative individuali richiedono un individuo competente in grado, cioè, di esercitare consapevolmente e attivamente – con competenza – i ruoli sociali che è chiamato a interpretare.

A fronte di una pluralità di connotazioni associate al concetto di competenza, potrebbe essere opportuno condividere una definizione che interpreta la competenza come “la capacità di utilizzare le capacità possedute declinandole adeguatamente nei diversi contesti e situazione della vita”. Si tratta di un approccio che definisce la competenza “una capacità in azione in un data situazione” per cui non “si è competenti ma si esprime una competenza nella situazione”.

In questa prospettiva, quindi, sarebbe auspicabile nell’ambito dell’esperienza scolastica sviluppare un sistema di valutazione delle competenze che l’alunno/studente gestisce nella situazione scolastica come manifestazione di un processo di apprendimento e di consolidamento di risorse personali, di capacità operative e di conoscenze che via via acquisisce e pratica nelle diverse situazioni, sia nel contesto scolastico che in quelli sociale e familiare.

Anche in questo caso è di fondamentale importanza la costruzione e l’adozione di un sistema di indicatori in grado di intercettare le manifestazioni del comportamento espresso dal pattern di competenze richieste nella situazione. Si tratta di un approccio che permette di verificare la consistenza e la stabilità della competenza nelle diverse situazioni agite e di confrontare rilevazioni effettuate da osservatori/valutatori diversi, ivi compreso anche il proprio punto di vista sulla prestazione/comportamento messo in atto.

Tale approccio assume una rilevanza significativa in considerazione delle più recenti innovazioni introdotte nel percorso formativo nella scuola e delle condizioni imposte dal fenomeno pandemico. Stiamo parlando, da un lato, della pratica dell’alternanza scuola-lavoro e, dall’altro, della didattica a distanza.

Tali nuove situazioni si configurano come lo spazio per la messa in campo di risorse personali indispensabili per realizzare obiettivi e conseguire i risultati attesi; nell’alternanza ciò che è importante non riguarda le attività di traduzione pratica di saperi acquisiti da esprimere secondo una logica esercitativa, quanto piuttosto comprendere come declinare le proprie conoscenze, capacità e risorse personali nella situazione esperienziale data al fine di apprendere il “modo di operare” anche in altre possibili situazioni. Nella didattica a distanza ciò che è richiesto è organizzare e gestire le proprie risorse al difuori di un ambito strutturato e definito come quello della classe. Sono cioè chiamate in causa le competenze declinate nelle diverse situazioni programmate e/o imposte.

Si delinea, in questo caso, uno spazio di condivisione tra la scuola e la famiglia nella valutazione della prestazione che può rappresentare una opportunità di sperimentazione e di potenziamento dell’azione educativa in sinergia.

La scuola, la famiglia, l’ambito sociale in genere, sono il terreno in cui testare il sistema di competenze sviluppato dal soggetto, assumendo un sistema di rilevazione concordato e condiviso che consente, da un lato, di individuare i punti di forza e le criticità nella performance individuale e, dall’altro, in maniera determinante, di rilevare i fattori di contesto che sollecitano e/o inibiscono l’espressione delle risorse e delle potenzialità individuali. In questa prospettiva, allora, l’azione educativa sinergica della scuola e della famiglia si può esprime sotto forma di facilitazione, di “spinta gentile” per la promozione e lo sviluppo del cittadino.

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